MIRFAK (prima parte)
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L’alba è spuntata da poco.E il gallo ha già cantato, tre volte.
Il pullman dei pendolari è già sfrecciato sotto casa, facendo stridere le gomme sull’asfalto. E sollevando un polverone nel tratto sterrato, dopo la curva. In ritardo, come sempre.
Mentre anche oggi il nero del caffè traboccava, ribollendo, dalla mia caffettiera sbigottita. Per allagare come al solito i miei poveri fornelli, e colorare la casa col suo aroma. Amaro, ma amichevole.
Sono già in strada, con i miei piedi lunghi e pesanti, a marchiare veloci il pulviscolo planato sull’asfalto. Ignorando il sonno, lento; che indosso sempre, come un fardello. Carico greve, che mal sopporto; nelle gambe, e nelle braccia.
Sono già stanco, al mattino. E tuttavia scattante, e preparato, al giornaliero arduo confronto.
Non ha tregua la mia rabbia. La notte riposa, accanto a me. Rannicchiata, si fa piccola; e sembra indifesa, come un tenero cucciolo peloso. Falsamente arrendevole mi offre, cortese, un morbido cuscino. Ma non dorme. E nel sonno mi punzecchia, e mi solletica, e bisbiglia al mio orecchio. Mi vuole pronto, agguerrito, accanito.
Una sfida infinita mi aspetta, al mio risveglio.
Un’altra battaglia, disperata e irrazionale; ma indispensabile.
È una lotta assurda, la mia.
Contro il Tempo, invincibile. Da sempre mio acerrimo, invisibile, onnipresente nemico.
Contro il Tempo, inafferrabile. Tormento liquido, incontenibile.
Contro i Suoi sicari, mutevoli e insospettabili. Sempre spietati, infallibili. Ma quasi impercettibili, così sfumati. Confusi, nella folla delle mie idee, pur rare; e delle mie frequenti, vane intenzioni.
Pochi passi veloci, poi monto in sella, agile. E pedalo, nell’aria umida e frizzante che mi punge gli occhi; costeggiando la roggia, quasi asciutta, che corre parallela alla strada. Come ogni mattina. Come ogni sera.
Sono questi, i momenti più belli della mia giornata. Momenti magici, tutti per me. Per i miei pensieri, per i miei ricordi.
Pensare e pedalare. Pedalare e pensare.
Sono questi, gli unici istanti in cui serenamente posso concentrare tutte le mie energie sul pensiero. E il pensiero può viaggiare, finalmente libero. Senza timore di rubare spazio, prezioso, ad altre occupazioni. Più importanti, lo so.
È più importante, ciò che lascia traccia di sé.
Il mio lavoro è importante. Ogni lavoro lo è.
Invece i miei pensieri corrono, e scorrono; poi sfumano nel nulla, senza che quasi mi accorga di loro. Eppure mi tengono in vita, e forse dopotutto è questa la loro funzione.
...
Quando pedalo so di non dover guardare l’orologio.
Dodici, tredici minuti al massimo. Poi sarò in stazione.
Cinque minuti. Legherò la bicicletta alla rastrelliera, scenderò le scale, comprerò il giornale. Poi salirò i gradini verso il binario, e attenderò il treno.
Il treno è sempre in orario, non aspetto mai più di tre minuti.
Salgo sull’ultima carrozza; è tranquilla, e confortevole. Mi siedo, vicino al finestrino.
Apro il giornale, leggo i titoli principali, qualche volta uno o due articoli. Di più no, non riesco. Solo due fermate, alla mia.
Ripiego il giornale, lo infilo nella tasca del giaccone, mi preparo.
Per scendere.
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