Questa volta, al contest per racconti fantasy
"Pesca lo scrittore che c'è in te"
organizzato dal forum Scrittori d'Italia, ho voluto partecipare anch'io.
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E' possibile votare i brevissimi racconti in gara (requisito di ammissione al concorso era il rispetto di un massimo di 3000 battute) entro il 26 giugno, andando qui:
Per votare bisogna essere iscritti al forum, i voti vanno da 1 a 4 e si assegnano replicando al post relativo. Il mio racconto è "Il torrente".
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Buona lettura!
L’elfo si stupì nel ritrovare quella moneta.
Credeva di essersene liberato, ed ebbe l’impulso di ignorarla. Ma l’indugio fu breve: non riuscì a evitare di raccoglierla. Ché quella, comunque, non avrebbe smesso di cercare colui che l’aveva forgiata colando nello stampo, assieme a tutto l’oro di cui disponeva, anche un pesante fardello di ricordi.
Una raffica di vento bucò la nebbia, spingendo Flo ad affrettare il passo sul sentiero. Ma l’oscurità, e lo scricchiolio dell’erba che con fili ghiacciati si accaniva contro le suole consunte dei suoi scarponi, lo invitarono a essere cauto.
Un brivido lo colse, e in quel fremito sentì di non avere altro appiglio che la bottiglia che teneva in una mano mentre l’altra, nella tasca scucita del mantello, stringeva la moneta coi suoi ricordi.
Giunto ai piedi della grande quercia, l’elfo alzò la bottiglia davanti al viso:
-A noi due, Amica!
e dalla tasca estrasse la sua memoria, ossidata dal tempo.
Chiuse gli occhi. E con la schiena incurvata dalla solitudine, percorse il tronco ruvido alle sue spalle.
Via il tappo, l’Amica parve protendere il collo verso di lui, per allietarlo col calore di una sbornia. Un solo sorso, e Flo fu sopraffatto dai ricordi. Dei giorni lontani in cui, dai rami del suo albero, guardava l’acqua del fiume scorrere, limpida come i suoi giorni, verso un destino immenso e variegato: il mare.
Un altro sorso. Ecco il bosco com’era allora: un’infinita distesa di arbusti snelli che speravano invano di diventare, un giorno, piante secolari.
Un sorso ancora. E gli parve di sentire l’amata Ela colorare, di risate argentine, l’azzurro terso della campagna lì intorno.
Credeva di essersene liberato, ed ebbe l’impulso di ignorarla. Ma l’indugio fu breve: non riuscì a evitare di raccoglierla. Ché quella, comunque, non avrebbe smesso di cercare colui che l’aveva forgiata colando nello stampo, assieme a tutto l’oro di cui disponeva, anche un pesante fardello di ricordi.
Una raffica di vento bucò la nebbia, spingendo Flo ad affrettare il passo sul sentiero. Ma l’oscurità, e lo scricchiolio dell’erba che con fili ghiacciati si accaniva contro le suole consunte dei suoi scarponi, lo invitarono a essere cauto.
Un brivido lo colse, e in quel fremito sentì di non avere altro appiglio che la bottiglia che teneva in una mano mentre l’altra, nella tasca scucita del mantello, stringeva la moneta coi suoi ricordi.
Giunto ai piedi della grande quercia, l’elfo alzò la bottiglia davanti al viso:
-A noi due, Amica!
e dalla tasca estrasse la sua memoria, ossidata dal tempo.
Chiuse gli occhi. E con la schiena incurvata dalla solitudine, percorse il tronco ruvido alle sue spalle.
Via il tappo, l’Amica parve protendere il collo verso di lui, per allietarlo col calore di una sbornia. Un solo sorso, e Flo fu sopraffatto dai ricordi. Dei giorni lontani in cui, dai rami del suo albero, guardava l’acqua del fiume scorrere, limpida come i suoi giorni, verso un destino immenso e variegato: il mare.
Un altro sorso. Ecco il bosco com’era allora: un’infinita distesa di arbusti snelli che speravano invano di diventare, un giorno, piante secolari.
Un sorso ancora. E gli parve di sentire l’amata Ela colorare, di risate argentine, l’azzurro terso della campagna lì intorno.
Illusione.
La muta Amica si era fatta leggera eppure, dopo l’efficace opera del vino, le mani dell’elfo avrebbero dovuto stringerla con una forza che ormai non possedeva.
Ci fu un tonfo improvviso. Di vetro, infranto sui nodi delle radici che spuntavano dal terreno. E il nettare di Bacco si sparse, silenzioso, fra le zolle gelate.
Morfeo, sfiorate coi petali di un papavero le palpebre dell’elfo, lo aveva già condotto fra le braccia del padre Sonno. Così Flo non udì i suoni del capitombolo, ma le sue orecchie lo percepirono alla strega di un’eco: del dolore che a lungo aveva tentato di rifuggire.
Un colpo sordo, un rapido accartocciarsi metallico, un istantaneo frantumarsi di vetri sogni speranze. L’irrimediabile perdita della sua amata Ela.
Sfiorato dall’alba, l’elfo si destò con le membra intorpidite e il cuore infreddolito.
Si sollevò a fatica da terra e, col disco d’oro ancora in mano, si avviò verso la strada, dove già le auto sfrecciavano con la solita fretta.
Chiuse gli occhi e, con quanta forza aveva in corpo, scagliò la moneta oltre la carreggiata.
Quando poi, più tardi, si costrinse a riaprirli, gli parve di vedere, al posto dell’asfalto, l’acqua scura di un torrente che arrancava, pigra, verso un futuro ignoto.
Nella vana attesa, forse, di un vento o una corrente straordinari che potessero, in qualche modo, farla scorrere a ritroso.
La muta Amica si era fatta leggera eppure, dopo l’efficace opera del vino, le mani dell’elfo avrebbero dovuto stringerla con una forza che ormai non possedeva.
Ci fu un tonfo improvviso. Di vetro, infranto sui nodi delle radici che spuntavano dal terreno. E il nettare di Bacco si sparse, silenzioso, fra le zolle gelate.
Morfeo, sfiorate coi petali di un papavero le palpebre dell’elfo, lo aveva già condotto fra le braccia del padre Sonno. Così Flo non udì i suoni del capitombolo, ma le sue orecchie lo percepirono alla strega di un’eco: del dolore che a lungo aveva tentato di rifuggire.
Un colpo sordo, un rapido accartocciarsi metallico, un istantaneo frantumarsi di vetri sogni speranze. L’irrimediabile perdita della sua amata Ela.
Sfiorato dall’alba, l’elfo si destò con le membra intorpidite e il cuore infreddolito.
Si sollevò a fatica da terra e, col disco d’oro ancora in mano, si avviò verso la strada, dove già le auto sfrecciavano con la solita fretta.
Chiuse gli occhi e, con quanta forza aveva in corpo, scagliò la moneta oltre la carreggiata.
Quando poi, più tardi, si costrinse a riaprirli, gli parve di vedere, al posto dell’asfalto, l’acqua scura di un torrente che arrancava, pigra, verso un futuro ignoto.
Nella vana attesa, forse, di un vento o una corrente straordinari che potessero, in qualche modo, farla scorrere a ritroso.
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